sulla soglia

  • 05:53
  • By Una, la spettatrice itinerante
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“Il mondo è nel caos. Non abbiamo mai saputo vivere.”

Foto di Notterrante Compagnia



Teatro Bravò | Un venerdì sera qualunque a teatro con Kafka: succede anche questo a Bari, per fortuna. Venerdì 11 novembre è andata in scena “ShortPlaywriting”, rassegna di microdrammaturgie della Compagnia Notterrante per l’intimista, sperimentale e sottilmente provocatoria regia di Mariella Soldo. La rassegna, costruita su due tempi, ha alternato sulla scena i diversi punti di vista e linguaggi degli autori dei corti teatrali, allievi del laboratorio di scrittura teatrale, offrendo, nel primo tempo dello spettacolo, una reinterpretazione originale del racconto “Le Metamorfosi” del celebre autore praghese ed esplorando, nel secondo tempo, con intelligente originalità, anfratti desueti di una realtà sempre più indecifrabile, che sfugge e oscilla tra il bello, il brutto e l’indecente. Sulla scena i bravi ed emozionati Domenico Poteca, Simona De Serio, Daniela Diomede, Antonella Pagano, Paolo Buccarello, Barbara De Palma e Vincenzo Marco De Sario interpretano i diversi protagonisti che si alternano di volta in volta sul palco.


Fin dalla prima scena lo spettatore si ritrova catapultato nel bel mezzo della vita di uomini alla ricerca di un senso. Un viaggio onirico, notturno e claustrofobico, a tu per tu con la notte di Gregor, con le sue ansie, paure e frustrazioni. Una notte familiare, che ci appartiene. In penombra scorgiamo il corpo di un uomo disteso per terra. Lento il risveglio. Le gambe si allungano e oscillano, come per stiracchiarsi, suggestivo il loro vagare nell’aria: una danza malinconica. È un gioco di luci ed ombre che mostra e nasconde la scenografia. Per terra scorgiamo di sfuggita dei vestiti sparsi, stracci, indossati e poi sfilati velocemente, uno dopo l’altro. “Tutto normale” di Mariapia Autorino è un racconto-testamento di chi si è perso nella quotidianità della vita e rinuncia a sé, mentre il suo tempo, nel frattempo, sfugge e logora i rapporti umani; una dolorosa lettera agli spettatori, una richiesta di amore. Tra le parole ogni spettatore può cogliere un invito alla riflessione e lì specchiarsi. 

Ciascun corto teatrale è lo scarto dalla realtà apparente, una lenta presa di coscienza, un risveglio dalla passività latente.

Un palco vuoto è il protagonista di “2189 giorni” di Rosa Cinquepalmi. Allo spettatore tocca riempire la scena con la fantasia. La voce di un’attrice accompagna la storia, riecheggia e denuda, mostra il nostro mondo interiore, disorienta e mette in discussione, scoperchiando le fragilità: quante altre ore di lavoro ci restano da riempire? E quanta altra vita inutile accetteremo di vivere fiaccamente? Rifiutiamo il mondo e la bellezza, senza accorgercene. Sembra che questo voglia dirci Renato Paternoster ne “L’incubo”. Un uomo vive rinchiuso nella sua camera accudito da una cameriera. Una vita interiore ridotta a una larva, la morte dell’io. Silenzi e assenze. Il cibo a riempire le mancanze. Una solitudine forzata. Un ennesimo colloquio con uno spettro interiore. Tutti ugualmente infelici. Tutti vittime e carnefici.

È un susseguirsi di immagini evocative e metaforiche anche il corto teatrale “Vdekur”, termine che in arbëreshë significa “morto”. Un paese lucano e due amici di vecchia data: storia di ordinaria falsità di un paese di provincia. Estranei a sé, estranei anche agli altri: la distanza non è superabile. L’incontro si riduce a un incontro mancato, un momento inespresso, destinato ad evaporare insieme a segreti e atrocità. L’incontro si astrae anche quando incrociamo Cindy, la protagonista di “Barbie App” di Mariella Soldo. Uno sketch esilarante tra cellulari, app, moda, tv e gigolò: tentativi vani di riempirsi la vita, tappare i buchi della solitudine. Cindy e il culto della sua vita privata. Cindy senza un orizzonte, tanto vistosa quanto anonima, così presa dai suoi ideali di vita da sembrare (illusoriamente) felice. Cindy ragazza grottesca circondata da uomini grotteschi in un mondo “grottescamente” grottesco. Una bolla di sapone.

“Quanto dolore può provocare una vita che si spende solo in una bolla di sapone?”. È questo l’interrogativo che sembra lasciarci l’ultimo corto, “La luce di Venere” di Sabrina Tarabella, il più poetico, ispirato drammaturgicamente alle insolite vite di Wanda e Leopold Sacher-Masoch (il padre del “masochismo”) e registicamente a “Les amours imaginaires” di Xavier Dolan. Attraverso brevi filmati cinematografici entriamo ed usciamo dalla storia di Wanda e Leopold. Viaggiamo tra il passato, il presente e il mondo immaginario dei protagonisti. Un fermo immagine sulla vita di una coppia come tante, così vicina eppure così lontana. Una riflessione importante sulla donna, condannata ad essere esempio di perfezione: buona madre, buona figlia, buona moglie. Un invito prepotente a dire ti amo ma soprattutto darsi, senza remore. E riprendere in mano la propria libertà. Perché, infatti, tutto deve essere lecito solo nella fantasia?

Ci hanno abituato male a vivere.
Ci siamo abituati male a vivere.
Sempre a un passo da noi. Sulla soglia.
Spettatori fragili e inconsapevoli.

Foto di Notterrante Compagnia



SHORTPLAYWRITING
regia Mariella Soldo
con la collaborazione registica di Barbara de Palma
microdrammaturgie di Mariapia Autorino,
Rosa Cinquepalmi, Renato Paternoster, Sabrina Tarabella.
con
Domenico Poteca, Daniela Diomede, Antonella Pagano, Simona De Serio, Paolo Buccarello, Barbara De Palma e Vincenzo Marco De Sario. 









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